Iniziamo

Il mio mondo è sempre stato sconnesso dalla realtà. Da bambina vedevo la realtà da uno specchio deformante: tutto era confuso e instabile. Non credevo neanche che le persone fossero reali; sapevo di pensare, di sognare, di avere cinque sensi e di usarli, ma non credevo che gli altri facessero lo stesso. Credevo che quando qualcuno uscisse dalla stanza e non potevo più vederlo, semplicemente spariva. Le bambole e i giocattoli di certo erano molto belli, ma non sapevo cosa farmene, non mi divertivano. Avevo solo bisogno di immaginare fate, fiori, neve e magia. Solo il fantasticare mi dava piacere. Odiavo gli altri bambini, forse mi spaventavano. Ma la gioia più grande era il cibo, la cioccolata, la Nutella. Il piacere che dà il cibo è qualcosa di immediato, sicuro, apparentemente senza ripercussioni. Un buon libro può darti momenti di emozione intensa ma c’è comunque la fatica della concentrazione. Il cibo, invece, non chiede niente in cambio. Se non i nostri corpi.

Siamo abituati a pensare che si impazzisca in conseguenza ad un trauma come gli atteggiamenti affettivi morbosi o troppo distaccati dei genitori, le violenze ecc. In realtà, psichiatri e neurologi sostengono che le malattie mentali possano essere causate da problemi interni, disfunzioni celebrali.
Personalmente credo di appartenere a questo gruppo poiché non riscontro traumi nella mia prima infanzia.

Urlavo sempre, piangevo fino a vomitare e a farmi salire la febbre. E' per questo che, in un certo qual modo, giustifico il comportamento di mio padre. Come poteva non picchiare una bambina isterica per cercare di farla smettere di piangere. Come poteva non desiderare di uccidermi.

Il legame con il cibo non si è mai interrotto e neanche quello con il dolore.
Quando mio padre fu costretto a smettere di picchiarmi, in conseguenza a dei problemi cardiaci (uno stress simile poteva causargli un infarto), iniziai a far scorrere una scheggia di vetro sotto la pelle e a leccare il sangue.

La tristezza era una scusa per mangiare, la felicità una scusa per festeggiare con il cibo. Il tempo era cadenzato dal piacere dei pasti che si susseguivano. E quando ero sola in casa, le abbuffate. L’idea dell’abbondanza, di tre tavolette di cioccolata tutte per me, di un pacco intero di biscotti da divorare in una sola volta, scuote le mie viscere, il battito accelera, la salivazione aumenta. È l’abbondanza il mio diavolo.

Non ho mai vomitato. Non so farlo ed è questa la cosa peggiore. Ciò che entra non esce più e il corpo continua a deformarsi sotto l’incedere del grasso. La pelle è rovinata dalle smagliature.

Il cibo dovrebbe essere nutrimento, qualcosa che ti permetta di sopravvivere, non il tuo unico amico. Non voglio più festeggiare con lui, non voglio più che asciughi le mie lacrime. Può farlo un’amica, un ragazzo, non il cibo.

Questo è il mio percorso, il distacco dal cibo, la conquista di un corpo bello, un seno sodo.

24 anni
165 cm
67 Kg
Obbiettivo: 50kg

3 commenti:

    wow ke storiA...se vuoi parlare io ci sono !!! un bacione...Kiara

     
    On 6 aprile 2010 alle ore 04:33 Anonimo ha detto...

    ne ana ne mia ti fara arrivare a 50.credimi.consulta dietista, lui si che ti farà avere ciò che vuoi!! (esperienza)

     

    Grazie Mileyana per il sostegno.
    Anonimo, come ho già scritto ho fatto un percorso con delle psicologhe e presto cercherò qualcosa di più serio. Della dietista non mi fido tanto. Il cibo è uno strumento per farsi male, come il vetro. Una dieta non mi aiuterà a essere felice. Ho bisogno di qualcosa che cancelli, che ammutolisca i pensieri. Ho bisogno di lavarmi dall'interno, lo stomaco è l'ultimo dei miei problemi.

     

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